Fondo Foa

Consistenza del Fondo: 1533 documenti.

Localizzazione del Fondo: sezione storia moderna e contemporanea, emeroteca piano terra, Lettere.

Segnatura di collocazione: FOA

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Note biografiche

Vittorio Foa nacque a Torino nel 1910, da una famiglia di ebrei.
Fu un grande politico, scrittore, economista e sindacalista, nonché membro attivo della Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale, militante in quello che sarebbe poi diventato il Partito d’Azione.
Visse la sua giovinezza a Torino, in una famiglia agiata, liberale e progressista, al cui interno vi erano anche personalità rivoluzionarie, come lo zio Natale Della Torre. Il suo interesse per il comunismo nacque al liceo, a causa dell’arresto e del processo ad un suo compagno di scuola presso il Tribunale speciale. Dopo aver conseguito la maturità, adempì al servizio militare, durante il quale sviluppò un vivo interesse per la questione operaia.

Presto iniziò l’attività di cospiratore, sotto il nome di Marcello, con il gruppo di Giustizia e Libertà, con il quale era entrato in contatto tramite l’amico Leone Ginzburg.  È interessante notare come Foa abbia sempre rifiutato il termine antifascista, poiché infastidito dall’espressione di pura negazione, che a suo avviso ne eludeva il carattere fondamentalmente positivo.
L’attività di cospiratore fu tuttavia interrotta dall’arresto, a causa di un delatore; in seguito al processo, Foa fu deportato a Regina Coeli e condannato a sedici anni di carcere. Durante la detenzione formò, insieme a Riccardo Bauer, Ernesto Rossi ed altri nuovi venuti, un gruppo unito da forti vincoli, umani ed intellettuali, che contribuirono a creare, in quegli anni di carcere, segnati dalla lettura di molti libri e da grandi discussioni, una Bildung, di cui abbiamo testimonianza nelle centinaia di lettere spedite ai genitori ed ai familiari più stretti. Tra gli autori più letti figurano nomi come Ludwig von Mises, Friedrich August von Hayek, Irving Fisher e Maffeo Pantaleoni, classici del liberalismo come John Stuart Mill, e del Risorgimento come Silvio Spaventa, Carlo Cattaneo, e Luigi Settembrini, ma anche Benedetto Croce, Adolfo Omodeo, Giovanni Giolitti, e poi memorialistica politica sulla prima guerra mondiale, i trattati e l’immediato primo dopoguerra.
Dopo la sua liberazione, nel 1943, tornò a Torino, dove entrò nel neonato Partito d’Azione, nel momento in cui la sua guida fu presa in Piemonte dal gruppo giellista.

Gli anni della Resistenza furono particolarmente significativi, sia da un punto di vista politico che di elaborazione teorica. È infatti del marzo del ’44 lo scritto I partiti e la nuova realtà italiana (la politica del CLN), fortemente critico nei confronti dell’intera compagine partitica italiana e della rappresentanza democratica: in esso auspicava che i Comitati di Liberazione Nazionale diventassero espressione unitaria delle diverse autonomie, e soprattutto di un autogoverno delle masse, costruito dal basso. In linea con la sua appartenenza al Partito d’Azione poneva il problema dei “ceti medi” e di tutti quei gruppi più marginali che i comunisti tendevano a ridurre alla componente lavoratrice o operaia.
Come economista, fu sostenitore di un’economia guidata da piano e programmazione, non libera e perciò anarchica, orientando il dibattito al riguardo verso una nuova prospettiva, diversa dalla comune differenza tra economia pubblica e privata.
Nonostante l’esperienza partigiana fosse stata centrale nella sua biografia, Foa non amava parlare della propria esperienza durante gli anni della Resistenza, trascorsi tra Milano e Torino tra il 1943 ed il 1945. Quelli furono, inoltre, gli anni di amore per Lisa, futura moglie, incinta della figlia Anna.
Dopo la liberazione Foa contribuì in modo decisivo ad orientare la politica del Partito d’Azione in senso consiliare, indicando nei Comitati di Liberazione Aziendali i futuri consigli di fabbrica. Tuttavia, lui ed il Partito, tesero a sopravvalutare il peso che le Resistenze avevano avuto durante la guerra, a cause forse dell’esaltazione dovuta alla vittoria, tendendo a sottovalutare il ruolo chiave che in essa avevano avuto gli alleati; questo fu anche dovuto alla mancata intuizione della portata dei nuovi partiti di massa rispetto al sistema parlamentare precedente il fascismo, il che influirà decisamente sul futuro esito del Partito stesso, destinato a scomparire nel PSI di lì a pochi anni. Quando infatti si profilò la possibilità di far confluire il Partito d’Azione in uno dei due maggiori partiti di sinistra dell’epoca, ovvero il PCI ed il PSI, Foa inizialmente si inserì nel dibattito con una posizione ostile alla fusione. In un secondo momento, però, si dichiarò favorevole all’unione con il PSI, che verrà sconfitto dai comunisti, il che lo portò a una profonda delusione. Tuttavia, prima che il Partito si sciogliesse definitivamente, diede il suo contributo alla Costituente, occupando uno dei soli sette seggi a disposizione del Partito dopo le amministrative del 1946. Negli anni che seguirono mise al centro dei suoi obiettivi un sindacalismo militante e fortemente politico che incidesse sui rapporti politici e sociali tanto da cambiare il quadro politico.
Verso la fine del ’49 si trasferì a Roma, poiché fu eletto vicesegretario confederale e responsabile dell’ufficio studi della CGIL. In quello stesso anno fu eletto parlamentare per il PSI, mandato rinnovatogli nel 1958 e poi ancora nel 1963.

Nel 1955, dopo la sconfitta della FIOM nelle elezioni sindacali della Fiat, Foa fu mandato a dirigere la stessa FIOM, che orientò in base all’idea che fosse necessario capire cosa era diventata la fabbrica in modo da poter dare nuove basi all’iniziativa operaia. Qui restò solo due anni, ma bastarono a dare l’impulso che portò la sinistra a ripensare l’idea del capitalismo che ebbe luogo tra il dibattito del 1956 su Lavoratori e progresso tecnico e il convegno dell'Istituto Gramsci sulle Tendenze del capitalismo italiano del 1962.
Ormai si avviava a diventare il teorico dell’economia operaia, soprattutto quando, con la svolta del 1955, capovolse «la legittimazione dell’azione operaia», che non era più fatta dipendere dall’organizzazione e dalla politica, ma fatta emergere dalla classe.
Foa, che a fine anno entrò nella segreteria della CGIL, pubblicò su Mondo operaio un articolo, “Il neocapitalismo è una realtà”, con cui assumeva la guida intellettuale della nuova sinistra sindacale per la sua capacità di guardare in faccia la realtà che il boom economico andava disegnando, e per i duri attacchi subiti per questo dalla stampa comunista.
Nel 1962 si schierò insieme ai sindacalisti della sinistra socialista, contro il centrosinistra, in nome di un socialismo che fosse al contempo contro il capitalismo e il comunismo filosovietico. Divenne così uno dei fondatori del PSIUP (Partito socialista italiano di unità proletaria), che ebbe però vita breve e difficile: nel 1968 esplosero le contraddizioni tra la sua ala filosovietica, che appoggiò l’invasione di Praga, e l’anima libertaria, cui apparteneva Foa, che in quei mesi fu l’unico importante dirigente della Resistenza a schierarsi con i movimenti giovanili. Lo fece però difendendo la CGIL, come testimoniò nel 1969 la normalizzazione da lui imposta allo PSIUP di Torino, diretto da Pino Ferraris.
Nel 1969 annunciò al congresso della CGIL il suo abbandono del sindacato, che avrebbe segnato poi il ritorno alla politica attiva. Fu il teorico principale dell’autonomia operaia, il che lo portò a criticare aspramente lo Statuto dei Lavoratori. Diede invece il suo appoggio totale ai consigli di fabbrica, i quali erano da lui visti come un esperimento di democrazia diretta, rivendicando sempre la loro autonomia rispetto al sindacato, vedendo in essi la potenzialità di diventare un nuovo movimento di massa, a metà tra il sindacale ed il politico. Questa fu la fase più estremista di Foa, impegnato in lotte sindacali ed operaie; le sue teorie infatti fecero presa anche sugli studenti, cosa che lo portò ad organizzare diversi corsi in alcune Università, rivolti a studenti e militanti.
Intanto si era consumata la crisi dello PSIUP, il cui gruppo dirigente, dopo la sconfitta alle elezioni del 1972, entrò in maggioranza nel PCI. Insieme ad altri leader della sinistra sindacale, Foa fondò il Partito di Unità proletaria, il PdUP, che nel 1974 si unì al Manifesto, aggiungendo al suo nome l’espressione «per il comunismo» che Foa osteggiò. Con la crisi del movimento operaio, e dei sindacati, sconfitti all’inizio degli anni ’70, nel 1976 si dimise a favore di candidati di movimenti operai. Nel frattempo si consumava la rottura con la moglie Lisa, militante di Lotta Continua, che si era appena sciolta. Dopo la sconfitta elettorale del 1979, Foa rispose con un silenzio, durato quattro anni. Fu questo il momento della svolta della sua vita, che egli stesso definì una rottura e una rinascita; scrisse un libro Gerusalemme rimandata, che doveva esserne l’emblema, e che fu inizialmente respinto dal comitato dei lettori della Rosenberg & Sellier. Fu poi pubblicato, in una versione totalmente rimaneggiata, ma rimase comunque sempre il suo libro più caro e più tormentato.
Dagli anni ’80 iniziò una fase radicalmente diversa della sua vita, dedicata alla riflessione sul suo passato e sulla continuità con il presente, anni dedicati all’impegno autobiografico e storico, anche a scopo divulgativo, soprattutto nei confronti dei giovani; dedicati anche al ripensamento dello stesso significato e dei contenuti della sinistra, al fine di modificarne la cultura.
Nel 1983 fece il suo ritorno nel dibattito politico con un’intervista su L’Unità. In quello stesso anno tornò alla CGIL, nell’ambito della ricerca economica e sociale. Sempre in questo periodo, i suoi incontri con Sesa Tatò divennero il centro di visite da parte di diversi intellettuali, e da queste scaturiranno alcuni libri e discorsi, ispirati da Foa o scritti a più mani. Nel 1987 fu eletto senatore per la Sinistra indipendente, una carica che usò per dare più forza alle sue posizioni e accelerare la crisi dei dogmi della sinistra. Cercò anche di influenzare l’evoluzione del PCI, per «rendere possibile a un pezzo importante della società italiana di non autoescludersi da una partecipazione diretta al governo della Repubblica». I suoi sforzi non ebbero tuttavia l’esito desiderato, a causa dell’esplosione del mito di Gorbaciov, che ridiede forza all’idea della diversità comunista. Negli anni ’90 si consumò la sua totale disillusione nei confronti della sinistra e dei suoi ideali, ormai considerata come un “feticcio”. Pur confessando di essere annoiato dalla discussione su destra e sinistra, continuò a riflettere sul significato di quest’ultima, e lo fece in particolare preparando per la pubblicazione le lettere spedite dal carcere. Alla difficoltà di trovare, nelle nuove condizioni, «un senso al presente pensando al futuro», dedicò gli ultimi anni della sua lunghissima vita, che videro anche il matrimonio con Sesa nel 2005. Due anni prima era uscito un suo colloquio con Carlo Ginzburg, l’ultimo scritto significativo della sua battaglia per trasformare la cultura politica di una sinistra di cui aveva elaborato una nuova definizione: «Non solo io ma gli altri, non solo qui ma altrove, non solo oggi ma domani».
Morì a Formia il 20 ottobre 2008.

(scheda a cura di Elettra De Angelis)